Energy and Renewables

Rifkin: il futuro è una rete piena di energia.
Posted il 26 ottobre 2011


Il petrolio sta finendo, il clima sta peggiorando e anche l'Occidente non si sente molto bene......


Jeremy Rifkin non è WoodyAllen ma il richiamo alla geniale battuta è inevitabile.
«Siamo una civiltà fondata sul paradosso: abbiamo costruito il nostro futuro sulla riesumazione dei depositi del Carbonifero. Petrolio, carbone e gas sono regali del passato, con il primo che costa sempre più ma di cui ne abbiamo sempre meno. Se aggiungiamo i cambiamenti climatici provocati dalle emissioni prodotte dalla combustione di queste sostanze il quadro è completo. È un futuro che sa molto di suicidio».

Questa non è una battuta allegra «Torniamo ai paradossi. Questa crisi economica è devastante, non v'è dubbio. Ma volendo vedere il bicchiere mezzo pieno contiene un aspetto positivo che andrebbe valorizzato. Perché sta facendo capire a tutti, anche ai più cocciuti, che se non cambiamo strada finiamo nel burrone».

Non le sembra di esagerare?
«Sul burrone non ho dubbi: è l'esito inevitabile di questa impostazione politica ed economica basata sullo sfruttamento del pianeta e delle sue risorse. Per quanto riguarda la crisi ho il sospetto che per cambiare direzione dobbiamo prima sbattere il naso. È triste ma è così».

 E dove dovremmo andare? E da anni, anzi decenni che stiamo parlando della necessità di cambiare strada ma finora i risultati sono stati deludenti.

«Questa volta potrebbe essere diverso», dice Rifkin, venuto a Roma a presentare il suo ultimo libro,
La terza rivoluzione industriale dove traccia uno scenario possibile, o almeno auspicabile, per un futuro energetico completamemte sostenibile. «Oggi siamo agli inizi di un possibile cambiamento, una svolta epocale di quelle che capitano poche volte nella storia. Il punto è che dipende da noi decidere se vogliamo coglierla e realizzarla o continuare come adesso: sfruttando il passato anziché costruire il futuro».

Tradotto cosa significa?
«Le grandi trasformazioni economiche della storia avvengono sempre quando una nuova tecnologia di comunicazione incontra un nuovo sistema energetico. La convergenza fra le tecnologie a vapore e i metodi di stampa ha trasformato un mezzo di comunicazione nel principale strumento di gestione della prima rivoluzione industriale. Le macchine da stampa azionate a vapore, poi le rotative e le linotype hanno aumentato la velocità di stampa e ridotto i costi. Libri, riviste, quotidiani hanno aperto la strada, per la prima volta nella storia, all'alfabetizzazione di massa. Sarebbe stato impossibile gestire la prima rivoluzione industriale attraverso la scrittura mano e i codici miniati».

E la seconda?
«Ai primi del Novecento, il convergere della comunicazione elettrica col petrolio e il motore a scoppio ha spianato la strada alla seconda rivoluzione industriale. Gli strumenti della prima comunicazione elettrica, parlo del telegrafo e del telefono, sono diventati i meccanismi per gestire, organizzare e portare sul mercato la seconda rivoluzione industriale».

E adesso?
«Oggi abbiamo la possibilità di unire due tecnologie straordinarie: Intemet e le energie rinnovabili. Sa cosa hanno in comune queste tecnologie? Che sono diffuse. Sono dappertutto».

Per Internet è chiaro, per le rinnovabili un po' meno.
«Alla fine di questo secolo centinaia di milioni di esseri umani trasformeranno i propri edifici in piccole centrali elettriche capaci di raccogliere le energie rinnovabili: pannelli solari ma non solo».

Che rientra col concetto dl diffusione?
«C'entra. Perché anziché utilizzare l'energia prodotta solo per le proprie necessità, i singoli cittadini la metteranno a disposizione degli altri. Ci saranno reti intelligenti in grado di distribuire l'energia ovunque ce ne sarà bisogno. È qui che entra in ballo la tecnologia diffusa di Inter-net: una gigantesca rete che invece di bit distribuirà elettroni. Ma non basta».

Che altro?
«Le energie rinnovabili, come è noto, non sono costanti ma variabili. Bisogna trovare sistemi efficienti per immagazzinare l'energia in eccesso da rilasciare quando non c'è il sole o non soffia il vento. Al momento la strada più convincente è quella dell'idrogeno. In pratica, si utilizza energia per produrre idrogeno e, quando serve, si sfrutta l'idrogeno per produrre energia. Col vantaggio che, a differenza del petrolio, l'idrogeno è un elemento naturale che non inquina».


Detto tosi sembra semplice Quanto ci vorrà per completare questa Terza rivoluzione?
«Una ventina d'anni da quando si parte. Ma con un vantaggio: che costruire la Terza rivoluzione aiuterebbe a uscire dalla crisi economica».

In che senso?
«Per realizzare il cambiamento bisogna trasformare le case in piccole centrali elettriche rinnovabili, montare pannelli solari, costruire impianti eolici, sfruttare le bio-masse. E questo vuol dire nuovi posti di lavoro. Con un vantaggio».

Quale?
«La ricetta, quando sei in crisi, è sempre la solita: tagli, tagli, tagli. E un errore: perché su usi solo le forbici, finisce che ti tagli anche le gambe per camminare. Assieme ai tagli devi investire. E per farlo hai bisogno di un progetto convincente, un piano su cui tutti si sentano pronti a investire anche in tempo di crisi».

Chi si sta muovendo più rapidamente In questa direzione?
«Sicuramente la Germania, che è il Paese che più di tutti crede nelle rinnovabili. Ma direi l'Europa nel suo insieme: l'Unione Europea Ue è stata la prima a imporre il 20 per cento di rinnovabili entro il 2020. Questo vuol dire avere una visione del futuro. Il vostro problema piuttosto è un altro: vi manca una narrazione convincente».

Anche lei come Vendola?
«Gli americani sono stati sempre dei grandi narratori. Pensi ai discorsi di Kennedy, a quelli di Martin Luther King. E il "grande sogno" americano è stato una formidabile modo per comunicare un concetto e un progetto a milioni di persone. Quello vi manca è una capacità narrativa di quel tipo: avete tante parole, tanti concetti ma non riuscite a tradurli in un racconto unico».

Obama è un bravo narratore?
«In campagna elettorale è stato formidabile: era l'uomo di Internet, del Black-berry, della Green-economy. Ora si è perso nel linguaggio frammentato e noioso della politica quotidiana: elenca una serie di problemi ma non indica una convincente via d'uscita. Non è più un narratore. Ed è un peccato, perché la Terza rivoluzione industriale è un bellissimo racconto. Una volta che l'hai ascoltato non pensi ad altro».

Agenda: Roma, Teatro Valle Occupato (domani, ore 17:30). dove terrà un seminario dal titolo «Lateral Power. La risposta alla crisi della seconda rivoluzione industriale. Ovvero: come ha fatto 11% a rubare il futuro al 99%. E come possiamo riprendercelo».

*Fonte l'Unità del 26 ottobre 2011


La supremazia energetica della Puglia
Posted il 12 settembre 2011

* C. Brusini per Il Mondo

 I primato è indiscusso ormai da tre anni. La Puglia è in testa alla classifica delle regioni italiane per potenza fotovoltaica installata: il 26 agosto, secondo il Gse (Gestore dei servizi energetici), il dato era di 1.445 megawatt su un totale italiano di 8.387. Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte contano però un maggior numero di impianti. Segno che quelli pugliesi sono in media molto grandi: distese di pannelli che fanno storcere il naso agli ambientalisti e a cui lo stesso governatore Nichi Vendola, da sempre promotore di un forte sviluppo delle energie rinnovabili, vuol mettere un freno.


Prima ancora dell'approvazione del quarto Conto energia, che disincentiva i campi da oltre 1 mw di potenza, il presidente della regione ha infatti deciso di correggere il tiro e indirizzare l'evoluzione del solare pugliese verso le piccole installazioni, in particolare quelle su case ed edifici industriali. Obiettivo, risparmiare i terreni agricoli e «solarizzare le città». Con l'effetto collaterale di dirottare i benefici economici dalle tasche degli investitori finanziari, spesso stranieri, a quelle di cittadini e imprese locali disposti a mettere a disposizione il proprio tetto. Il tutto a costi contenuti o addirittura gratis, grazie agli accordi stipulati a fine 2010 con Enel.Si e con il gruppo Beghelli: gli affiliati della società di Enel green power installano infatti a proprio carico i pannelli (e ne garantiscono la manutenzione) in cambio della proprietà dell'impianto per 20 anni, durante i quali comunque il proprietario della casa o del capannone può utilizzare l'energia prodotta per l'autoconsumo. Chi vuole ricevere fin da subito anche gli incentivi del Gse potrà comunque farlo, pagando in proprio l'investimento.

L'intesa con Beghelli prevede invece due diverse opzioni: il fotovoltaico tradizionale o il Tetto d'oro acqualuce, che comprende anche un sistema solare termico e permette quindi di produrre, oltre all'energia elettrica, acqua calda per gli usi domestici. «Queste convenzioni, che siamo pronti ad allargare a consorzi di aziende locali, stanno già dando qualche risultato, ma pensiamo di rendere la scelta ancora più conveniente per le famiglie con incentivi per il fotovoltaico architettonicamente integrato», anticipa la vicepresidente della regione e assessore allo Sviluppo economico Loredana Capone. «Per scoraggiare l'eccessiva occupazione del territorio e i danni al paesaggio, con le Linee guida regionali approvate a fine 2010 abbiamo poi individuato le zone non idonee all'installazione di impianti: per esempio, sono escluse tutte le vedute panoramiche più rappresentative della regione, da Castel del Monte a Ostuni, Alberobello e Porto Selvaggio».

Certo è che le procedure autorizzative più snelle in vigore fino all'anno scorso hanno consentito alla regione, che già vantava alcuni primati nel campo della produzione energetica da fonti tradizionali (a Brindisi Enel gestisce la più grande centrale a carbone d'Italia, in cui è stato inaugurato il primo impianto pilota italiano per la cattura e sequestro della CO), di diventare una delle più «rinnovabili» in assoluto. Oltre al primo posto nel solare fotovoltaico, la Puglia vanta infatti la seconda posizione, dietro alla Sicilia, per potenza eolica installata: 1.287 mw (dato al dicembre 2010) concentrati soprattutto nella Capitanata, area che coincide a grandi linee con la provincia di Foggia. Qui sono in esercizio, tra gli altri, un parco da 52 mw Il green new deal alla pugliese ha anche un risvolto produttivo: il distretto «La nuova energia» comprende oltre 300 aziende La centrale Enel di Brindisi e il parco di Falck renewables, quattro di Erg Renew, sei di International power — Gdf Suez (gruppo nato dalla fusione tra Gdf Suez energy e Ip e oggi primo player italiano del settore) e altri di Alerion, Edison, Fri-El, Icq holding e Tozzi renewable energy. E vale ricordare che, oltre a evitare l'immissione in atmosfera di una grande quantità di CO2, questi impianti danno lavoro, considerando anche l'indotto, a quasi 6.300 persone.

Il green new deal alla pugliese ha infatti un interessante risvolto produttivo: il distretto delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica La nuova energia, nato due anni fa e riconosciuto formalmente nel novembre 2010 dalla giunta regionale, comprende oltre 300 imprese per un fatturato totale stimato superiore ai 2 miliardi di euro. Tra le più grandi la multinazionale Vestas, che a Taranto produce pale eoliche, la Italgest di Paride De Masi, presidente del distretto, e Marseglia, che attraverso la Ital green energy è il primo produttore italiano di energia da olio vegetale: il gruppo della famiglia Marseglia ha installato tra Monopoli e Molfetta impianti per un totale di 194 megawatt, grazie ai quali la Puglia ha la leadership anche in questo mercato.
Il polo integrato delle energie rinnovabili sognato da De Masi ha invece perso pezzi causa resistenze locali contro la realizzazione di una centrale a biomasse a Casarano e di un parco eolico a Nardò. Tanto che il numero uno del gruppo ha deciso di privilegiare le iniziative estere e a fine 2010 ha ceduto il comparo del solare foto-voltaico al fondo cinese Gsf Capital. Piccola, ma ad alto tasso di innovazione, la Daiet di Cisternino (Brindisi), nata come società di impiantistica civile e industriale per approdare poi al business delle rinnovabili. Oltre a realizzare impianti chiavi in mano, la società ha messo a punto un prodotto per ora unico in Europa: pannelli galleggianti «che permettono di produrre energia senza sottrarre terreni all'agricoltura, sfruttando per esempio i laghetti artificiali degli acquedotti o quelli di raccolta dell'acqua piovana destinata all'irrigazione», spiega Giuseppe Capanna, responsabile amministrazione, finanza e controllo. «Dopo il prototipo di Solarolo, in Emilia Romagna, ne stiamo realizzando uno da 20 kw per il comune di Avetrana». La Geatecno di Modugno (Bari), altro installatore e fornitore di impianti chiavi in mano (oltre 500 quelli realizzati sui tetti di privati e aziende), sta invece entrando nel business del minieolico: all'inizio dell'estate è partita la collaborazione con la canadese Vbine Energy, di cui l'azienda distribuirà le turbine ad asse verticale.

La Puglia dell'energia non registra però solo successi. A parte il caso Italgest, sono tante le situazioni di stallo legate alla cosiddetta sindrome Nimby (Not in my backyard). Bloccato per esempio il progetto di riconversione a metano della centrale elettrica di Enipower all'interno della raffineria Eni di Taranto. Clamorosa, poi, la vicenda British Gas: da dieci anni il gruppo tenta di costruire a Brindisi un rigassificatore per gas liquefatto. La prima autorizzazione è arrivata nel 2003, ma in seguito alla pressione degli enti locali si sono accumulati ritardi e intoppi burocratici. E il progetto, per il quale sono stati già spesi circa 250 milioni di euro, è bloccato al ministero dello Sviluppo economico, nonostante l'anno scorso abbia ricevuto il decreto Via dal dicastero dell'Ambiente. Si trascina da anni anche l'iter autorizzativo del parco eolico offshore al largo di Tricase: il primo prototipo è del 2007, la Valutazione di impatto ambientale positiva è arrivata nel 2010 e la Sky saver, controllata dalla holding Blue H Technology, aspetta ora l'esito della Conferenza di servizio che dovrebbe concedere l'autorizzazione unica. «Nel frattempo abbiamo perso il vantaggio tecnologico iniziale», rileva l'amministratore Anna Fraccalvieri. «Siamo stati i primi a realizzare un prototipo di pala eolica in acque profonde, ma da allora i competitor europei sono andati avanti mentre noi restavamo al palo».

La bussola di a l i p e r : Green economy in Italia, ancora pochi fatti.
Posted il 31 agosto 2011


Questi giorni di manovra e contromanovra e sterzata etc.. mi hanno dato il pretesto per domandarmi, ancora una volta, per quale ragione escludere a priori l'ipotesi di una carbon tax  in Italia. Potrebbe sicuramente rappresentare un buon accelleratore di innovazione tecnologica di matrice green. Cosa che per altro molti paesi hanno già fatto quali la Svezia, la Finlandia, i Paesi Bassi, la Norvegia e la recentissima Australia.

Nel 2008 in Gran Bretagna a Cambridge un guppo di lavoro governativo che ho avuto l'onore di incontrare stava preparandone la proposta nazionale: il loro lavoro mi chiedo che fine abbia fatto. Mentre è certo che siano falliti i tentativi di Nuova Zelanda e degli Stati Uniti con il governo di Al Gore.

In Italia, scopro che abbiamo una legge di introduzione della carbon tax all'interno dell'IRAP a seguito degli accordi del Protocollo di Kyoto, ma se questo dispositivo sia applicabile e applicato, davvero lo ignoro.La nuova arrivata, l'Australia ha un programma davvero ampio e capillare che traduce una strategia precisa di un governo e oltre a quello di un Paese. Il Primo Ministro Julia Gillard l'unidici di luglio ha annunciato gli accordi di programma presi e lo schema per la determinazione del prezzo, o meglio del valore dell'imposta e il leader dei verdi nazionali sembra proprio prenderne atto e non senza una certa dose di orgoglio.

Già, siamo in Australia.

Oggi leggo all'interno di un quotidiano nazionale la lettera di Massimiliano Marcanti dell'Università di Ferrara: L'emendamento presentato dal senatore Perduca e dal deputato Zampanitti, co-firmata da altri componenti radicali e del Pd, propone di introdurre una fiscalità ambientale sulle emissioni di CO2, al fine di 'finanziare' la riduzione di altre imposte quali Ires e Irpef e generare eco innovazione come risposta delle imprese. La misura è collocabile quindi nelle azioni a sostegno della crescita, ad ora ancora vaghe se non assenti, in un dibattito che verte solo sull'aggiustamento del deficit, a forte rischio di effetti depressivi. Il gettito derivante dalla misura proposta, che esclude i settori già sottoposti all'emission trading europeo, è dl 3 miliardi dieuro. Questo 'patrimonio' potrebbe essere elevato nel tempo introducendo incrementi graduali ma certi della carbon tax, misure dl tassazione, anche su ossidi di zolfo e anidride solforosa e altri inquinanti locali (già presenti nei paesi nordici), tassazione delle grandi imprese dei servizi, ora escluse. Si raggiungerebbe facilmente un gettito di un punto di Pil e oltre. Un gettito importante finalizzato a spostare il peso del fisco dalle persone alle cose.
Alcune forme di aumento dell'Iva potrebbero ulteriormente aumentare questo 'fondo' che sostiene minore tassazione su imprese e lavoro. La misura allineerebbe l'Italia alle esperienze delle economie europee più competitive (Svezia, Germania), e rientrerebbe nelle misure di applicazione delle principali linee di politica europea su ambiente e crescita della competitività. In aggiunta, all'interno delle riforme fiscali nei livelli decentrati, aumenti organici tra regioni di tasse sulle discariche, oneri demaniali idrici, e tasse sui materiali da escavazione genererebbero gettiti rilevanti finalizzatili' ad abbattere I'Irap, dl cui sempre si parla ma nulla si fa. Sarebbe importante che le parti sociali, Confindustria e i maggiori sindacati, ed i gruppi parlamentari, accettassero questa sfida, che rende concreti i discorsi su sostenibilità e green economy, che spesso rimangono parole.

Già, siamo in Italia, dico.
La bussola di al i p e r  : L'Italia delle rinnovabili, prima negli incentivi e ultima in ricerca
Posted il 30 agosto 2011

* di Giovanni Caprara


Buone pubblicazioni, brevetti quasi inesistenti: l'indagine I-Com e l'Enea. Il Commissario Lelli dice che «Per cambiare le cose occorra un piano nazionale».

Per l'energia l'Italia ha conquistato un doppio record in Europa: siamo al top negli incentivi alle fonti rinnovabili e in fondo alla scala per gli investimenti nella ricerca del settore. Questo è il primo dato che emerge da un rapporto dedicato all'innovazione energetica i cui dettagli saranno presentati al Festival dell'Energia  di Firenze il 23 settembre prossimo. L'indagine è stata preparata dall'Istituto per la competitività (I-Com)  di Roma e offre un interessante confronto internazionale per l'evoluzione dell'ultimo decennio e le nuove tendenze maturate. Un secondo dato che salta all'occhio, e denso di significati, riguarda il numero delle pubblicazioni dei nostri ricercatori e delle domande di brevetto presentate nel 2010 all'European Patent Office. Per le prime siamo in una posizione media, invece per i brevetti drammaticamente arretrati. La Corea del Sud, che è al secondo posto nella classifica dopo gli Stati Uniti, ne ha 1.175 mentre noi raggiungiamo la timida cifra di 95; un decimo della Germania, meno di un terzo della Francia e al di sotto anche della Spagna.

Se siamo abbastanza bravi nel produrre lavori teorici, come mai questi non riescono a tradursi in proposte concrete che l'industria possa sfruttare? Una prima spiegazione è nascosta nel basso livello degli investimenti privati rispetto agli altri Paesi: 466 milioni di dollari nel 2009, un livello di spesa ben inferiore alle altre nazioni più ricche di risultati. Ma non è soltanto questa la causa. Accade infatti che la ricerca pubblica (570 milioni di dollari sempre nel 2009) generi soluzioni teoriche che rimangono sulla carta senza compiere il successivo passo verso la fase brevettuale che richiede un lungo e costoso impegno. Mancano, cioè, canali di scambio tra pubblico e privato. Questo è un male che ci trasciniamo da decenni e praticamente nulla si è fatto per curarlo. Tra università, enti vari e industrie si continua a parlare poco o nulla.

Vediamo qualche dettaglio nel bene e nel male. Nel 2010 su una trentina di riviste internazionali di maggiore importanza i nostri ricercatori hanno pubblicato la maggiore quantità dei loro studi sulle tecnologie fotovoltaiche (16) e per lo stoccaggio di energia (15). In entrami i campi gli Stati Uniti, che sono in prima posizione, ne hanno stampati appena circa tre volte di più. Nei brevetti ci si è concentrati su fotovoltaico e solare termodinamico ma con numeri da titoli di coda rispetto agli altri. Nelle indagini sulla geotermia, invece, assieme alla Corea, primeggiamo. Scorrendo i dati del decennio a livello internazionale ci si rende conto di due fatti. Il primo riguarda un aumento delle risorse economiche dedicate. Il secondo denota un cambiamento nella ripartizione. Nel Duemila gli investimenti pubblici erano il 62 per cento di quelli privati, nel 2009 sono diventati il 175 per cento. Il contributo pubblico è cresciuto enormemente e «il fenomeno — sottolinea Stefano da Empoli, coordinatore del rapporto — si è intensificato quando la crisi dell'economia ha spinto i governi a un maggior intervento diretto per compensare la contrazione delle disponibilità private». Infatti in Europa (ma non in tutti i Paesi) e negli Stati Uniti sono scese del 7,3 per cento mentre in Giappone solo dello 0,3.

Nell'Unione gli investimenti privati dei tedeschi resistono alla crisi e in generale Francia e Germania sono i più impegnati su questo fronte. Per quanto riguarda l'Italia l'orientamento è mutato notevolmente. Nel Duemila il 4o per cento della spesa era rivolto al nucleare, oggi è in testa l'efficenza energetica (22,8%) seguita da nucleare (20,4%), combustibili fossili (15,7%) e fonti rinnovabili (10,3%). «Per facilitare lo scambio di conoscenze abbiamo siglato da un paio di mesi un accordo con Confindustria ma le domande che arrivano dalle aziende sono molto poche — nota Giovanni Lelli, prima direttore generale dell'Enea e ora commissario —. Nel fotovoltaico e nel solare termodinamico in Italia si sono ottenuti dei risultati e c'è qualche società che si sta muovendo.

Tuttavia per cambiare le cose occorre un programma nazionale sull'innovazione energetica che agisca da regia assegnando incentivi che stimolino secondo precise direzioni il mondo produttivo. L'uso degli incentivi ha senso se è rivolto anche alla crescita delle capacità tecnologiche creando vantaggi industriali ed economici». L'Enea è l'unico centro di ricerca italiano per l'energia, ma da tempo immemorabile è commissariato. E una prova di come la politica affronti queste necessità.
La bussola di a l i p e r : Siamo fuori di 'bolla'
Posted il 06 maggio 2011


Il decreto porterà nel tempo a un taglio degli incentivi, rispetto al vecchio regime, nell'ordine del 30%. I punti chiave sono tre:

1. maggiorazione del premio del 10% per l'utilizzo di hi-tech made in Ue
2. del 5% per i piccoli impianti installati in determinate aree industriali, nelle zone da bonificare o oggetto di recupero ambientale, o realizzati a cura delle amministrazioni pubbliche in comuni scarsamente popolati.
3. la presenza di sistemi di controllo e certificazione


Il provvedimento «elimina ogni limite alla produzione con un nuovo sistema di regolazione automatica del livello degli incentivi in relazione alla potenza installata che entrerà a regime a partire dal 2013» e nel frattempo un regime transitorio che prevede «un decalage progressivo con «la salvaguardia degli investimenti in corso», mentre «un tetto di spesa massima ed un registro tenuto dal Gse solo sui grandi impianti (superiori a 1 MWp sul tetto e 200 kWp a terra) che consentiranno di limitare i fenomeni speculativi».

Gli investitori esteri che rappresentano imprese che hanno investito un miliardo e mezzo di euro, hanno deciso di chiedere un risarcimento di 500 milioni di euro accusando l'Italia di avere violato la Carta dell'Energia di Lisbona. Mentre dal Solarexpo di Verona è arrivato l'annuncio che 150 aziende hanno affidato a Sos Rinnovabili,il compito di avviare un'azione legale collettiva contro il decreto Romani. Il primo ricorso verrà presentato alla Corte di Giustizia Ue, «perché il decreto del 3 marzo scorso non recepisce la direttiva europea che prevede lo sviluppo delle rinnovabili, ma anzi limita la crescita delle energie dal sole». La seconda azione legale sarà presso ilTar. Il terzo ricorso alla Corte costituzionale «perché il provvedimento danneggia le aziende che, pur avendo rispettato le norme di legge vigenti, avranno un diverso trattamento a livello di tariffe incentivanti per colpa di un tardivo allaccio alla rete elettrica». Il quarto alla Corte dei Conti perché il decreto espone lo Stato al rischio di esborsi pesanti. Infine una segnalazione all'Antitrust perché il provvedimento «falsa i termini della concorrenza, avvantaggiando i grandi gruppi oligopolistici».

Fabrizio Vigni, presidente di Ecologisti Democratici dice che «il brusco calo degli incentivi e la moltiplicazione dei vincoli burocratici minacciano il futuro di un settore strategico della green economy». Ed è preoccupata anche la Cgil (il decreto, solo in Lombardia, mette a rischio 35 mila posti di lavoro»), con il Wwf che parla di «pasticcio» e Felice Belisario (Idv) di un governo miope e sordo che pregiudica il raggiungimento degli obiettivi europei sulle fonti rinnovabili». Legambiente apprezza la «ripartenza per il fotovoltaico dopo mesi di stallo», mentre Greenpeace lamenta «l'ennesimo bizantinismo legislativo del governo per rendere ancora più incerto lo scenario in cui si fa impresa». Confindustria e Anie - Gifi invece approvano il decreto appena varato.


La bussola di a l i p e r : Due passi tra gli scenari
Posted il 18 aprile 2011


Se tutto continuasse secondo il trend attuale, nel 2050 il mondo si ritroverebbe con una situazione energetica insostenibile: una domanda di petrolio balzata a 190 milioni di barili/giorno ( 115% rispetto agli 89 mb/g attuali), derivante in particolare dalla necessità di alimentare tra 1,7 e 2 miliardi di automobili; un raddoppio della domanda energetica globale procapite, frutto degli standard di vita sempre più elevati cui perverranno i Paesi in via di sviluppo, Cina e India in testa; un raddoppio della quantità di carbonio immessa nell'aria rispetto ai livelli attuali, a sua volta superiore di 3,5 volte alla quantità necessaria a contenere la temperatura dell'atmosfera entro livelli giudicati accettabili.

Questo il quadro che ipotizza uno studio della Hong Kong and Shanghai Banldng Corporation (Hsbc), colosso mondiale del credito con sede a Londra, che ha delineato lo scenario energetico del pianeta all'orizzonte del 2050 tenendo conto degli ultimi avvenimenti internazionali, dalle "primavere arabe" al relativo balzo del prezzo del barile di greggio, ma soprattutto all'incidente di Fukushima, destinato prevedibilemente ad alterare a fondo l'opzione dell'atomo nella produzione globale di energia.

La tendenza oggi in atto, per diverse ragioni, ovviamente non potrà (e non dovrà) continuare invariata, perchè insostenibile sul piano materiale. A metà secolo l'umanità non disporrà di tutto il petrolio che sarebbe richiesto: anche solo ai ritmi attuali di consumo, i 1.333 miliardi di barili di riserve accertate durerebbero 45 anni, cioè fino al 2055: Se ipotizziamo livelli d'incremento di utilizzo più che doppi, l'esaurimento del petrolio si avrà addirittura intorno al 2030. I1 gas, più abbondante, creerà problemi di approvvigionamento e ambientali (l'estrazione dello shaiegas, destinato ad affiancare il metano "classico", rischia d'inquinare pesantemente le falde idriche), mentre il carbone, abbondante quanto a riserve accertate, è però nefasto per i residui che la sua combustione lascia. La sicurezza energetica (intesa come la produzione procapite di energia interna a un Paese) diverrà sempre più incerta in vaste regioni del pianeta: America latina, India ma soprattutto Europa, dove gran parte dei Paesi che la compongono saranno totalmente dipendenti da fornitori esterni. Il principale fattore di allarme deriva però dal fatto che il riscaldamento globale, frutto dell'aumento inesorabile delle emissioni di CO2, colpirà spietatamente il mondo, ma soprattutto i Pvs, i più esposti alla desertificazione, ai fenomeni atmosferici eccezionali (tifoni, alluvioni o siccità) e alla rarefazione delle risorse idriche. Lo studio di Hsbc sottolinea la contraddizione che si va profilando: se si perpetuasse, come molti ormai paventano, un'ulteriore moratoria nella costruzione d'impianti nucleari come contraccolpo all'incidente di Fukushima - sulla falsariga di quanto accadde per quasi un ventennio dopo Chernobyl -, dato quanto premesso finora, occorrerebbe nn massiccio passaggio alle energie rinnovabili per poter fare fronte alla domanda energetica in inesorabile aumento e soddisfare gli obiettivi di contenimento delle emissioni. Le risorse ci sono: il potenziale mondiale - ricorda lo studio Hsbc - è di 186mila TW/h, contro una produzione di 20,01 TW/h nel 2009.

Le fonti rinnovabili, tuttavia, diventano competitive solo in presenza di costi molto elevati del petrolio. Con l'eccezione appunto del nucleare e della geotermia, disponibile però solo in zone piuttosto limitate del pianeta. L'obiettivo ottimale di un mix equilibrato di fonti produttive, se soddisfa abbastanza bene i requisiti ambientali, costituisce un formidabile ostacolo allo sviluppo soprattutto dei Paesi meno avanzati, la cui ricetta standard di sviluppo si basa su bassi costi energetici per mantenere prezzi concorrenziali alle loro- produzioni. Dunque, soprattutto su idrocarburi e carbone. La minore intensità energetica (e quindi la maggiore efficienza) delle produzioni, generando risparmio, premia chi già è efficiente, malgrado gli alti costi produttivi, e costituisce un meccanismo di parziale riequilibrio. Lo studio ricorda come la Svizzera, per soddisfare le necessità del suo settore manifatturiero, chegenerava il 20% del Pil, nel 2007 avesse un'intensità energetica solo dello 0,09 (900mila tonnellate di petrolio equivalente per produrre i milione di dollari di valore). La Danimarca ha più che dimezzato i suoi valori tra il 1970 e il 2006, passando da 0,23 a o,u. L'India, per contro, restava a livelli eccessivi, quasi io volte superiori a quelli elvetici (0,84). (Fonte F.Migliavacca, Il Sole 24Ore)


La bussola di a l i p e r : Rinviata la Conferenza Stato – Regioni per il fotovoltaico e disattesa la proposta di Anie - Gifi
Posted il 13 aprile 2011


Il decreto del 3 marzo, all'origine del blocco del settore fotovoltaico, dopo aver stabilito che il Terzo Conto Energia (oggi in vigore) sarebbe stato valido solo fino a fine maggio, indicava il termine del 30 aprile per l'emanazione del provvedimento contenente le nuove tariffe valide dal primo giugno, in poi. Intanto ieri ci sarebbe stato un nuovo incontro tra i Ministeri dello sviluppo e dell'ambiente, per definire gli ultimi particolari della bozza del quarto conto energia. Le versioni del testo tra l'altro, sono state numerose e l'ultima circolata tra gli operatori avrebbe scontentato un po' tutti, anche Anie- Gifi, che finora era stata l'associazione di settore più elastica rispetto ai paletti posti dal Ministero. In particolare la nuova versione del testo prevederebbe l'introduzione di tetti alla potenza incentivabile già dal primo giugno prossimo, invece che da ottobre, come proposto da Anie- Gifi. Non solo, i cap proposti sarebbero molto bassi e non differenziati per tipologia di impianto. Insomma, esattamente il contrario di quanto chiesto nei giorni scorsi dalle altre associazioni del fotovoltaico quali Aper, Assosolare e Asso Energie Future, che hanno fatto fronte comune isolando Anie- Gifi, ritenuta troppo accomodante con il Ministero dello sviluppo economico. Le Regioni, dal canto loro, aspettano il testo definitivo prima di esprimersi, ma è difficile che possano accettare una proposta che non tuteli almeno i diritti acquisiti di chi pensava di ultimare gli investimenti nel 2011. Anche perché alcune amministrazioni hanno in corso bandi e investimenti anche rilevanti nel fotovoltaico.

La bussola di a l i p e r : Rapporto solare
Posted il 08 aprile 2011


Sono tre i distretti italiani del fotovoltaico: Puglia, Monza e Brianza e Padova e 800 le imprese che ne fanno parte e che genereranno nel 2011 un giro d'affari superiore a venti miliardi di euro. In attesa di conoscere lo schema degli incentivi del «quarto conto energia» le oltre 800 aziende della filiera italiana del fotovoltaico archiviano un 2010 estremamente positivo.

L'Italia è il secondo paese al mondo, dopo la Germania, per potenza fotovoltaica installata lo scorso anno: 2.100 mW ( 192%) che potrebbero superare i 6mila se tutti gli impianti che beneficiano del decreto "salva Alcoa" venissero effettivamente allacciati alla rete. Vola cosi il giro d'affari del settore che oscilla tra i 7,6 miliardi (nel primo caso) e i 21,5 miliardi. L'occupazione diretta raggiunge le 18.500 unità che arrivano a circa 50mila considerando l'indotto. E nei tre distretti, in Puglia, nel padovano e in Brianza, dove si concentra l'attività della filiera nazionale sono stati raggiunti elevati livelli di saturazione degli impianti. Le PMI imboccano così la strada dell'internazionalizzazione: secondo il report nel 2010 il 55% dei produttori di celle e moduli, era il 40% nel 2009, esporta e Francia, Israele, Germania e la Grecia sono i mercati più promettenti. Rimane il forte gap con i competitor internazionali a penalizzare le PMI e la "debolezza" finanziaria e l'estrema volatilità del mercato. Un altro elemento di cambiamento nel 2010 è legato alle installazioni di impianti di grande potenza, le centrali fotovoltaiche sopra il MW. Un segmento in crescita che genera un business tra i 1,6, erano circa 300 milioni nel 2009, e tocca i 4 miliardi di euro se si considerano gli impianti del decreto"salvaAlcoa". Lungo la filiera industriale la voce più importante è quella della distribuzione e installazione dei pannelli, che vale ben 7,6 miliardi. I produttori di celle e moduli l'anno scorso hanno visto crescere del 125% il fatturato che ha toccato i 3,2 miliardi. Considerando gli impianti ultimati e non ancora allacciati alla rete nazionale il giro d'affari quasi triplica. Gli investimenti in macchine e tecnologie di processo, sempre secondo il rapporto, hanno invece superato i 120 milioni. E aumentano a due cifre ( 37%) anche i ricavi dei produttori di silicio e wafer, con ricavi per miliardi.

Per il direttore generale del Distretto Green High Tech Monza Brianza Giacomo Piccini il traguardo de consorzio è quello di fare entrare altre Pmi, arrivando a un centinaio di associati. Il distretto, operativo dal 2009, ha come obiettivo quello di rivitalizzare e rafforzare la competitività del territorio brianzolo e del Nord-Est milanese. Società di capitale senza fine di lucro, funge da mercato primario tra le imprese socie, a cui sono assicurate prezzi e condizioni di fornitura agevolate da un rapporto di mutuo scambio. Il distretto, in un'ottica di medio periodo, punta a diventare un fornitore di impianti "chiavi in mano" attraverso la gestione unificata della commessa e grazie alle sinergiche peculiarità delle aziende aderenti. Una collaborazione che copre tutto il ciclo, dalla progettazione alla gestione degli impianti fotovoltaici e ad energia rinnovabile. Non mancano la ricerca e sviluppo e una filiera produttiva green che punta sul marketing delle aggregazioni e del territorio. Un cluster di aziende con una forte connotazione tecnologica che oltre allo sviluppo industriale nelle rinnovabili preservi le competenze dell'area. Alle aziende sono anche offerti servizi di finanza, sia attraverso i fondi comunitari, nazionali e regionali sia rapporti con banche con cui il distretto collabora per facilitare l'accesso al credito ai membri.

I giorni caldi del fotovoltaico
Posted il 08 aprile 2011

Lunedì 04 aprile: Si spacca l’associazione di imprese fotovoltaiche italiane di Confindustria Anie – Gifi che riunisce produttori di componenti, realizzatori d'impianti e di fondi attivi nel settore del solare fotovoltaico. Tante anime e tanti interessi diversi che messi a confronto con la necessità di modificare il decreto rinnovabili (approvato lo scorso 3 marzo dal Governo), si sono scoperti confliggenti su molti punti rispetto alla linea seguita dal direttivo dell’associazione nelle trattative con il Governo, vista poco ferma e poco differenziata dalla posizione della Confindustria. Tanto da spingere alcune delle imprese associate a confluire in altre rappresentanze.

Martedì 05 aprile: Nell’incontro con i tecnici del Ministero dello sviluppo economico la Confindustria non fa concessioni ai player del fotovoltaico riuniti nell’Anie –Gifi mantenendo una posizione ferma sulle nuove tariffe per il fotovoltaico. Il lavoro di mediazione dei delegati Gifi sembra non essere servito e la Confederazione dimostra di non essere disposta a fare altre concessioni che possano risultare in contrasto anche indiretto con le esigenze di alcuni dei player più importanti della confederazione, a partire dagli industriali 'energivori' (intanto Gianluca Bertolino, consigliere Anie – Gifi si dimette).

Mercoledì 06 aprile: Il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia parla “di un sistema di incentivi sul modello tedesco”. Il decreto che si approverà entro la fine del mese in corso “disciplinerà il periodo transitorio tra il 1 giugno ed il 31 dicembre 2011 per le domande aperte e poi costruirà un nuovo sistema stabile dal gennaio 2012, con una riduzione progressiva degli incentivi' secondo quanto avviene in Germania”. La ricetta sembrerebbe essere un periodo di transizione con incentivi in calo progressivo, per poi adottare un modello simile a quello tedesco dove «chi più installa meno prende» ha precisato al Senato il Ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani. Incentivi giganteschi e troppa richiesta ingolfano e dissanguano l'Italia, ribadisce il Ministro. Tant'è che i 33mila megawatt di nuove richieste di allacciamento al fotovoltaico hanno «una dimensione totalmente inaccettabile», visto che superano di «4 volte l'obiettivo italiano». Per questo è allo studio una revisione che porti alla creazione «di una vera filiera italiana del settore ed eviti le speculazioni» ribadisce il Ministro promettendo di procedere «velocemente». Un modello, quest'ultimo, proposto mercoledì anche da Gifi - Anie la cui assemblea straordinaria dei soci riunitasi martedì, ha approvato la proposta elaborata dal suo consiglio direttivo per il Quarto Conto Energia (e presentata mercoledì al Ministero dello sviluppo economico), che si aggiunge a quelle presentate nei giorni scorsi da Assosolare e da Aper, Asso Energie Future e Ises Italia.

Giovedì 07 aprile: Sale il pressing sulle rinnovabili e si allarga l’arena dei decisori interni e esterni alla Confindustria con Abi, Assocarta, Assofond, Confindustria Ceramica, Federacciai, Assomet e la Piccola Industria. Mentre il Governo aveva promesso di varare il nuovo decreto interministeriale sugli incentivi e sul quarto conto energia per il solare fotovoltaico, in anticipo rispetto alla scadenza di fine aprile, il dibattito rimane rovente e il confronto con gli operatori- denunciano i rappresentanti delle industrie 'energivore' di Confindustria - procede a rilento. A sollecitare il provvedimento scende in campo anche l'Abi. «Le banche chiedono un quadro di regole certe al fine di valutare la sostenibilità dei piani di finanziamento» afferma Giovanni Sabatini, direttore generale dell'Abi: “Costi fuori controllo e tempi incerti allarmano le imprese. Mentre le banche chiedono un quadro di regole certe per valutare la sostenibilità dei piani di finanziamento”. Paolo Culicchi, presidente di Assocarta e rappresentante dei consumatori industriali nel confronto con il Governo, sollecita un incontro diretto con il Ministro dello sviluppo Paolo Romani e fa notare che nelle bollette «già con il corrente mese di aprile la componente A3, a copertura dei costi per lo sviluppo delle rinnovabili, ha registrato un aumento di 6 euro a megawattora passando da 16 euro/MWh a 22 euro/MWh circa». Ribadendo che «Le fonti rinnovabili siano importanti, però il loro sviluppo deve avvenire in modo ragionevole, equilibrato, senza offrire rendite ingiustificate». I sussidi sono da mettere sotto controllo, non certo da tagliare brutalmente, sottolineano intanto anche in Confindustria auspicando una soluzione equilibrata. Gli analisti della confederazione fanno notare che anche con una significativa riduzione dei sussidi come quella proposta da Confindustria il costo degli incentivi per il fotovoltaico ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro nel 2014, con un aggravio de116,3% del prezzo di riferimento dell'energia (Borsa elettrica), per salire a 6 miliardi nel 2018 ( 224% sul prezzo unico nazionale, Pun). Certo non è facile individuare un equilibrio tra le esigenze dei consumatori e gli obiettivi dell'industria dell'energia verde.

Per Vincenzo Boccia, Presidente della Piccola Industria gli «eventuali contributi su fonti alternative dovrebbero essere ripartiti sulla fiscalità generale invece di essere sostenuti soprattutto dal e imprese» Secondo Enrico Frigeri, Presidente di Assofond, «alla fine del terzo conto energia il solo fotovoltaico inciderà sulla bolletta delle aziende per circa 14 euro/MWh, l'onere maggiore sarà per le Pmi». Mentre per Mario Bertoli, Presidente di Assomet, «nessun reale controllo è stato attivato per seguire la dinamica degli investimenti; il risultato è stato un volume inatteso di impianti realizzati». Franco Manfredini, Presidente di Confindustria Ceramica dice che «L'incentivazione va contenuta e razionalizzata ed è necessario essere fermi e dire no a sistemi che garantiscono rendite eccessive». Mentre Giuseppe Pasini, Presidente di Federacciai dice che bisogna «Riformulare gli obiettivi progressivi di installazione in modo che siano effettivamente sostenibili dal sistema Paese, con misure di buon senso».